Editoriale
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La visita pelviperineale: l’obiettività emorroidaria nel soggetto normale e nel paziente con malattia emorroidaria. Risposte ai perché di questa iniziativa editoriale

Urologi, ginecologi e chirurghi generali, ovviamente oltre che i medici di medicina generale, spesso prima ancora degli stessi chirurghi colorettali e dei proctologi, si trovano ad osservare pazienti con aspetti della componente emorroidaria della regione anale particolari e asintomatici o con quadri realmente patologici caratterizzati da sintomi anche assai diversi.

Non va mai dimenticato che le emorroidi, come anche tutte le malattie cosiddette funzionali, non vanno mai trattate se non è il paziente che lo chiede, ovvero quando la sua qualità di vita è compromessa dai sintomi e dai segni della malattia oppure in quei rari casi in cui il sanguinamento, che è il primo, principale sintomo della malattia emorroidaria (emo-reo), porti ad una grave anemia.

Le emorroidi vengono tradizionalmente classificate in interne ed esterne in base alla localizzazione anatomica sopra o sotto la linea pettinea, ossia a livello di mucosa del canale anale prossimale o di anoderma del canale anale distale e in base alla disposizione vascolare del plesso emorroidario interno ed esterno. Il prolasso (che è solo delle emorroidi interne) viene classificato a sua volta in 4 gradi in base alla sua riducibilità.

Se è vero che il sanguinamento ed il prolasso sono gli elementi sintomatologici più caratteristici della malattia emorroidaria non complicata, il dolore è espressione in genere delle manifestazioni acute delle complicanze di tale condizione, cioè l’edema, l’ematoma e la cosiddetta trombosi anale o lo strozzamento del prolasso.

La terapia medica conservativa, ambulatoriale o chirurgica, delle emorroidi sintomatiche rappresenta da sempre un terreno di confronto tra il medico ed il paziente, il primo tendendo a risolvere il problema, il secondo timoroso soprattutto delle conseguenze degli interventi radicali e più invasivi per il dolore e per le possibili complicanze. Negli ultimi 15 anni la chirurgia del prolasso anale con le suturatrici meccaniche, largamente praticata anche da non specialisti nel settore coloproctologico, ha rappresentato un progresso nella risoluzione del problema per l’effettiva riduzione del dolore post-operatorio, ma la frequenza di recidive, i costi elevati ed il numero tutt’altro che trascurabile di imprevedibili complicanze a lungo termine spesso di difficile soluzione, la rendono poco accettabile a molti chirurghi, a dispetto di una frequente richiesta da parte di pazienti attirati da una pubblicità molto capillare da parte delle aziende produttrici degli appositi punti metallici.

I costi della sanità pubblica ed i conseguenti tentativi di risparmio tendono oggi ad obbligare i chirurghi ad effettuare in regime di chirurgia ambulatoriale gli interventi anche radicali per emorroidi, penalizzando con appositi DRG i reparti che non si adeguano. Ciò dà ulteriore spazio ai tentativi di terapia conservativa, medica e parachirurgica (legature elastiche, terapie sclerosanti, ecc.).

Pelviperineologia in quest’ottica ha deciso di chiedere ad un gruppo di proctologi italiani distribuiti in tutto il territorio nazionale di riferire una loro esperienza di trattamento dei più vari aspetti della malattia emorroidaria con il supporto di un multicomponente a base di diosmina, esperidina e troxerutina in miscela micronizzata + L-carnitina (modalità d’uso: 3 buste/die per 4 giorni, 2/die per 3 giorni e 1/die fino alla 9a settimana), e ne è risultata una carrellata di casi clinici che pur nella uniformità della patologia di base dimostrano la varietà delle possibili presentazioni di cui anche i non specialisti è bene siano consapevoli.

Scorrendo le presentazioni si noterà anche come, nonostante lo schema editoriale prevedesse un chiaro accordo sulle classificazioni e sulle modalità di valutazione coloproctologica, un tocco di anarchia medico-scientifica sia clinica che espositiva risulti inscindibile dal costume nazionale. Nonostante le raccomandazioni editoriali infatti le esposizioni sono giunte in redazione con una notevole difformità: si comprende così quanto diversamente possa essere “misurato” un caso di emorroidi di terzo grado in un ospedale rispetto ad un altro, quanto diversa possa essere l’interpretazione di gravità di una rettorragia nell’indurre uno studio endoscopico del grosso intestino in centri diversi. La redazione del giornale ha svolto il lavoro di revisione, ma ha comunque lasciato che la serie dei brevi articoli, che continuerà anche nel prossimo numero, rappresenti uno spaccato realistico dei “modi di fare” di chi, nel territorio, si occupa di proctologia in Italia.

Ogni presentazione è preceduta da una breve sintesi con l’indicazione di quanto è possibile apprendere dalla specifica esperienza di quell’autore e con ciò si spera di far cosa utile al lettore meno esperto in questo campo, rafforzandone le cognizioni nell’individuare la patologia del paziente e nel selezionare l’orientamento al trattamento più adeguato. Si ribadisce che il valore dell’iniziativa, pur esulando dal peso scientifico della Medicina Basata sull’Evidenza, fornisce una indicazione molto realistica su un problema medico estremamente frequente, quello delle emorroidi sintomatiche, e ciò in una maniera che può essere letta in senso critico sia per quanto detto dagli autori che nel commento redazionale.

L’affascinante articolo di stampo antropologico del Professor Mario Lise, pubblicato a chiusura di questo numero, ci riporta ai temi più caratteristici del nostro giornale, a quella integrazione dei tre comparti del pavimento pelvico, anteriore, centrale e posteriore che vede come irrinunciabile l’approccio multidisciplinare nella pratica sia medica che chirurgica di questa specialità e nei suoi profondi risvolti umani.


GIUSEPPE DODI
Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche Università degli Studi di Padova
giuseppe.dodi@unipd.it


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